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MANESKIN: il rock fuori di testa

Nati nei talent ed esplosi grazie alla smisurata presenza su social network e media generalisti, i romani Maneskin rappresentano al momento il più noto caso al mondo di "rock made in Italy", complici anche gli show negli Usa, incluso quello sul palco degli Stones. La loro versione di rock ipersemplificato sembra perfettamente coerente con la generazione dei social usa e getta come Tik-Tok.

MANESKIN: il rock fuori di testa

I Måneskin sono attualmente la rock-band italiana più conosciuta al mondo. Formati a Roma nel 2016 da Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) e Ethan Torchio (batteria), nel 2020 hanno raggiunto una notorietà mondiale decisamente al di sopra di ogni legittima attesa, divenendo nel giro di pochissimo tempo un esempio emblematico di quanto il successo possa essere a volte proporzionale alla pubblicità fornita dalla stampa e dalle tv. In pratica un grande fenomeno mediatico, pompato con una propaganda illimitata e aggiornato alla generazione social. ln effetti, il loro successo - spesso al confine dell’isteria da parte di tutta la stampa generalista che sistematicamente ignora musicisti molto più innovativi - appare da ogni punto di vista incomprensibile se si considera il numero di band di qualità tecnica e compositiva oggettivamente superiori.

Tentare di spiegare i motivi di questa esaltazione illimitata appare difficile. Volendo escludere a priori le tesi pseudo-complottiste del “sistema” che spingerebbe i Måneskin in quanto portatori di valori coerenti con il pensiero dominante (ideologia gender, filo-atlantismo ecc.), dell’idea che tutto ciò che accade sia sempre studiato a tavolino da chissà quali menti superiori, non resta che analizzare altre ipotesi per cercare di avvicinarsi maggiormente alla verità. Quello che è senz’altro innegabile è il comportamento delle tv e dei giornali generalisti con tutte le loro appendici social che spingono quotidianamente l’hype a livelli stellari. Dalla vittoria di Sanremo in poi non c’è stato praticamente giorno in cui non vi siano stati articoli, post sui social network, servizi in tv su ogni cosa detta o fatta da Damiano o Victoria, in cui ogni foto provocatoria della band non sia stata rilanciata ovunque, ogni dichiarazione proposta con la massima diffusione, ogni singolo concerto annunciato come un evento storico e commentato successivamente come se si trattasse di qualcosa di epico, da raccontare con orgoglio ai propri nipoti. Artefici di tutto questo circo mediatico ipertrofico sono sia giornalisti che direttori di Tg, ma in particolare un esercito agguerrito di tanti pseudo-influencer, sconosciuti ai più, opinionisti tuttologi attivissimi su Facebook, che si prodigano in una costante agiografia quotidiana. E’ quindi un continuo interrogarsi se Damiano sia fidanzato o meno con Victoria, se Damiano abbia sniffato cocaina all'Eurovision, un inseguimento alle continue bufere social sul sex toy legato alla cintura durante un live, dal “Fuck Putin” alle “confessioni piccanti della fidanzata Giorgia Soleri”, sino al reggiseno di Victoria opportunamente "scivolato" durante gli Mtv Video Music Awards. A tutto ciò si aggiunge la seconda faccia della medaglia, quella dei critici che ribattono in direzione opposta ma con eguale intensità a ogni evento che vede protagonisti i due frontman della band, in un clamoroso show mediatico che finora non ha fatto altro che il gioco dei Måneskin.

Paradossalmente, i Måneskin appaiono persino vittime di questo meccanismo: perennemente al centro dell’attenzione, osannati come i salvatori del rock, come se fossero i nuovi Beatles (qualcuno lo ha detto davvero), si trovano dinanzi ad aspettative impossibili da mantenere. Ma d'altra parte sono al tempo stesso i carnefici (di sé stessi), perché in questo gioco al rialzo hanno la possibilità di sfruttare i vantaggi del successo, che sembra abbiano intenzione di tenersi ben stretto. Se però da una parte il successo e la fama portano innegabili vantaggi, dall’altra alzano l'asticella dell’hype a livelli parossistici, rendendoli di conseguenza oggetto, oltre che di ruffiane agiografie, anche di feroci critiche, in entrambi i casi finendo col venire bollati da etichette che sarà impossibile eliminare anche nel lungo periodo. Tutto ciò rende davvero arduo discutere in modo oggettivo senza schierarsi con una delle due fazioni. Del resto, è incontestabile il fatto che lo spettacolo mediatico sia prioritario rispetto a quello musicale. Anzi, si può affermare, senza possibilità di essere smentiti, che la musica sia in secondo piano in tutto questo fenomeno, relegata a mero contorno rispetto al suddetto circo mediatico quotidiano. Ma cerchiamo di esaminare alcuni aspetti. Il presunto ritorno al passato

Se si volesse guardare con occhi benevoli la loro storia, si potrebbe dire che, nell’epoca del post-tutto, i Måneskin abbiano rappresentato un ritorno al passato, a un’idea museale del rock, con tutti i pregi e i difetti che questo può comportare. È il concetto su cui battono maggiormente i loro fan, che però traggono la conclusione da una prospettiva inevitabilmente fuorviata. La loro visione della musica contemporanea è infatti molto parziale (come quella di tutti in effetti, ma nel loro caso lo è in modo tale da risultare inattendibile) in quanto, nella maggior parte dei casi, fondata su una conoscenza musicale offerta unicamente dai principali canali mainstream, radio o tv, alla perenne ricerca dei nuovi Led Zeppelin, dei nuovi Pink Floyd o dei nuovi Queen. Si è formato così negli anni un pubblico di eterni scontenti, sempre più convinto dell’idea che il rock sia morto vari decenni fa e che nessuno sia mai riuscito a riesumarne i fasti. In verità, se la musica dei Måneskin è certamente rock, lo è in una forma tanto semplificata da apparire lontanissima da tutte le band storiche degli 70, oltre che priva di quegli agganci con la società e di quei riferimenti intellettuali che storicamente sono stati invece una cifra significativa della musica rock. Basti considerare, ad esempio, il suo legame con l'avanguardia o con il jazz, la sua continua evoluzione e l'influenza reciproca tra una band e l’altra, che ha portato negli anni a un continuo susseguirsi di stimoli creativi. A questo percorso evolutivo, la musica dei Måneskin appare totalmente estranea, così semplice e poco creativa da far svanire ogni legame con ogni tipo di subcultura giovanile. In sintesi, se il rock fosse stato solo quello dei Måneskin, non sarebbe stato così interessante e stimolante da restare a tutt'oggi materia viva e fertile a dispetto dei settant'anni di vita. Il pubblico dei Maneskin

Giovani, belli, carichi di energia, trasgressivi almeno all'apparenza (in realtà, parecchio conformisti), i quattro romani sembrano perfetti per l'enorme mercato dei nostalgici. Allo stesso tempo riescono a intercettare un pubblico giovane che magari ascolta anche la trap ma che è alla ricerca di qualcos'altro, purché sia veicolato dai consueti canali (social, tv generaliste o talent show). In questo, risultano di certo superiori ai loro coetanei Greta Van Fleet, che possono apparire irresistibili ai nostalgici del rock ma non certo alle nuove generazioni. Oltretutto la musica dei Måneskin è infinitamente più semplice di quella dei Greta, quindi più spendibile rispetto alla formula nostalgica del quartetto americano.

È probabile, dunque, che parte del successo sia frutto dell'enorme semplificazione attuata dalla band romana. Un'operazione così spinta da risultare attualissima nella società social dei consumi rapidi e immediati. Se la brevità dei video di Tik-Tok è la chiave del successo di quel social network, la semplicità elementare delle loro canzoni (quasi tutti i brani dei Måneskin durano tra i due e i tre minuti) si rivela di certo un elemento fondamentale. Il pubblico dei Måneskin è quindi fondamentalmente quello dei grandi eventi, ascoltatori che potrebbero assistere indifferentemente ai concerti di Vasco Rossi o Ligabue, ma magari anche a quelli di Laura Pausini, degli U2, dei Guns‘n’Roses o dei Metallica. Una platea, insomma, fortemente condizionata dal bombardamento mediatico che accompagna gli eventi di massa, ma che garantisce indubbiamente una piattaforma formidabile per lanciare eventi live come quello svoltosi il 9 luglio 2022 al Circo Massimo di Roma. Finalmente la musica

Come si vede, si potrebbe parlare all'infinito del fenomeno Måneskin senza mai entrare in campo musicale. Un paradosso incredibile, forse persino unico nella storia del rock italiano. Ma proviamo a farlo senza pregiudizi. Un elemento che va considerato a favore dei Måneskin è che nascono esattamente come dovrebbero nascere tutte le band: da un gruppo di amici che provano a suonare insieme. Damiano David, frontman dotato di una voce particolare che può piacere come anche risultare sgradevole, e la bassista Victoria De Angelis si conoscono nel 2015 e, insieme al chitarrista Thomas Raggi (amico di Victoria) e al batterista Ethan Torchio, contattato tramite un annuncio su Facebook, si incontrano e formano un gruppo. Il nome Måneskin è una parola danese (traducibile in italiano come chiaro di luna), lingua d'origine di De Angelis da parte di madre. Se Damiano e Victoria sono probabilmente fondamentali come immagine per il successo della band, Thomas ed Ethan sembrano davvero due ragazzi che hanno vinto alla lotteria. Si inizia a sapere qualcosa di loro grazie a una rapida successione di talent e gare musicali: prima X Factor nel 2017, poi Sanremo nel 2021, dove trionfano con il loro inno rock "Zitti e buoni", grazie al quale bisseranno il successo anche al successivo Eurovision. Partecipazioni che si riveleranno determinanti anche per i loro risultati in classifica. Ma procediamo con ordine.


La loro prima esibizione a X Factor, nel 2017, è visibile su YouTube e non lascia presagire particolari qualità. Spalleggiati dal loro mentore Manuel Agnelli, si piazzano in seconda posizione, dietro a Lorenzo Licitra. Ma questo risultato apre la strada al loro primo Ep, realizzato addirittura con la Sony.


Sull'Ep Chosen (2017) emerge una band acerba, a volte ancora in fase di puro dilettantismo. L'impressione forte è che qualunque gruppo di musicisti al primo anno di studi avrebbe potuto registrare senz'altro un lavoro più professionale. Otto brani di cui solo due originali (un funk-rock strimpellato alla buona) e ben sei cover, che peggiorano le versioni originali. Emblema di questa fase sembrerebbe la rilettura di “Vengo dalla Luna” di Caparezza, in effetti non semplice da riproporre in quanto già perfetta nella sua versione originale.

Il risultato è sotto gli occhi (e le orecchie) di tutti. Ma invece di finire nell’oblio come tanti loro colleghi di talent (vincitori inclusi), Damiano e compagni iniziano a ricevere richieste di partecipazioni a trasmissioni tv, da Fabio Fazio a Claudio Bisio e Alessandro Cattelan, in tanti li ripropongono sugli schermi nazionali amplificando così i risultati di un Ep che non sembrava destinato a rilanciare le loro quotazioni.


Nel 2018, spinti dai residui di hype di X Factor, i Måneskin pubblicano il loro primo Lp Il ballo della vita, che pur mantenendosi ancora decisamente sotto la media delle migliaia di album pubblicati ogni anno, segna un passo avanti enorme rispetto al lavoro dell'anno precedente. Con “Torna a casa” o “Le parole lontane”, i romani riescono a trovare forse il terreno a loro più congeniale, quello della ballata. Per il resto è una sagra del già sentito, senza particolari guizzi di originalità, con brani di circa due minuti, tra i quali "New Song" sembra l'unico in grado di indicare un possibile futuro (cosa che in effetti sarà). Saranno altri brani, però, come "Morirò da Re" o "Lasciami stare" a diventare alcuni dei loro successi più noti.



Ripuliti dal dilettantismo di Chosen, i Måneskin si preparano con vari aiutini al grande salto. Nel 2019 tornano da ospiti a X Factor come fossero delle celebrità, e a poco a poco si preparano per la grande svolta, che avviene nel Festival italiano più noto al mondo. Si presentano a Sanremo con "Zitti e buoni", canzone rock abbastanza atipica per quel tipo di festival, sfoderando uno show provocatorio anch'esso inconsueto per quel tipo di pubblico. Purtroppo è tutto una via di mezzo tra parodia e teatro. La rabbia è teatralizzata, il ribellismo è puro show d'intrattenimento e le continue lingue mostrate alla telecamere sono così poco sincere (e così poco ribelli) da far sognare il ritorno di Claudio Villa o Toto Cutugno. Tutto si regge su un riff che causa persino accuse di plagio, con testi ambigui dove si inscena una rabbia verso non si sa chi o che cosa, in modo così ambiguo che tutti possano sentirsi dalla parte giusta, quella dei buoni (in stile Ligabue). La sensazione, insomma, non è tanto quella di trovarsi al cospetto di una ribellione giovanile, bensì di una parodia di rock band. Tornando alle accuse di plagio, ci sarebbero un paio di cose da sottolineare. Da una parte è innegabile che il riff di “You Want It, You've Got It” di The Vendettas sia assolutamente identico a quello di “Zitti e buoni”, come anche la melodia e i testi siano molto simili a “F.D.T.” (acronimo di Fuori di testa, vi dice qualcosa?) di Anthony Laszlo. Se risulta davvero difficile, e forse impossibile, immaginare che Raggi non abbia mai sentito il riff dei Vendettas e che Damiano non abbia ascoltato i testi di Laszlo, ci sarebbe anche da dire che la struttura del brano è formata da frammenti tanto elementari da poter risultare uguale anche per puro caso, e questa non è certo un'attenuante per i Måneskin. Ad ogni modo, è l’inizio di una valanga che supera i confini nazionali per invadere Europa e Stati Uniti. Primo posto a Sanremo, conseguente partecipazione all’Eurovision e nuovo primo posto, in entrambi casi con festeggiamenti degni di una finale di Champions League. L'album che segue il trionfo sanremese si intitola Teatro d’ira (2021) ed è certamente il loro lavoro più ambizioso. L’hard rock tradizionale di “Lividi sui gomiti” sembra registrato già da una band più matura e per la prima volta sembra di ritrovare un minimo di sincerità e analisi psicologica. Le nuove ballad "Coraline" e “Vent’anni” diventano due delle loro hit di maggiore successo e si muovono sulla falsariga di "Torna a casa", lente e affrante, mostrando ancora una volta che questo è il formato canzone in cui riescono meglio. “In nome del padre” è il momento più hard della loro carriera, mentre il successo maggiore ricade su “I Wanna Be Your Slave” che gioca su testi sadomaso da centro commerciale e prevedibile video provocatorio. Grazie al trionfo all'Eurovision, sia "Zitti e buoni" che l'album Teatro d'ira - Vol. I, oltre ai brani "I Wanna Be Your Slave" e "Coraline", entrano nelle classifiche settimanali europee e mondiali, nonché in quella globale stilata da Spotify. "Zitti e buoni" e "I Wanna Be Your Slave" riescono a entrare anche nella Billboard Global 200 Excl. US. Il 4 luglio 2021 i Måneskin conquistano addirittura la vetta della classifica mondiale di Spotify con la loro cover di "Beggin'" dei Four Seasons, inclusa tre anni prima nell'Ep Chosen. "Beggin'" debutta anche nella Billboard Hot 100 (n.78) per poi il n.13, facendo dei Måneskin i secondi vincitori dell'Eurovision nella storia recente a entrare in quella classifica. A partire da giugno 2021, il quartetto si esibisce in vari programmi televisivi europei. Poi, addirittura lo sbarco in America, con la storica performance in apertura del concerto dei Rolling Stones a Las Vegas del 6 novembre 2021, con tanto di selfie assieme a Mick Jagger, e la partecipazione a popolarissimi spettacoli televisivi americani, come il Tonight Show di Jimmy Fallon e l'Ellen DeGeneres Show. L'8 aprile 2022 pubblicano anche "Gasoline", nell'ambito dell'iniziativa Stand Up for Ukraine indetta da Global Citizen, il brano che nove giorni dopo presentano sul palco del Coachella Festival, con tanto di invettiva di Damiano contro Vladimir Putin e l'invasione russa dell'Ucraina. I Måneskin partecipano anche alla colonna sonora del film "Elvis" di Baz Luhrmann, con la loro cover della "If I Can Dream" di Presley.


Dal successo mondiale seguono le partecipazioni alle più disparate competizioni musicali internazionali, tra le quali, solo per citarne alcune, American Music Awards, Brit Awards, Billboard Music Awards e Mtv Music Awards, dove i i Måneskin diventano i primi italiani a vincere un premio (Miglior video alternativo per "I Wanna Be Your Slave").

Ormai star internazionali, i Måneskin pubblicano servizi fotografici degni delle migliori riviste di moda, all'insegna dei loro look fluidi e "no gender", oltre a nuovi singoli con lanci pubblicitari ipertrofici, da “Mammamia”, in cui Victoria trova un bel giro di basso, a “Supermodel”, prodotto da Max Martin, Rami e Sly, e firmato dalla band assieme a Justin Tranter: un funk-rock pacchiano vicino a un’idea ipersemplificata dei Red Hot Chili Peppers.

A ottobre 2022 pubblicano il nuovo singolo "The Loneliest", tipica ballad decisamente vintage ottima per il mercato radiofonico internazionale.


È chiaro che il tempo potrebbe cambiare il giudizio sui Måneskin. Come per tutte le monografie in itinere, dunque, la bocciatura non può considerarsi definitiva. Nulla toglie che Måneskin, in un futuro prossimo, riusciranno a liberarsi dai mondi che li hanno trascinati a un successo sterile e magari trovare autenticamente se stessi e rilanciare una propria identità artistica più sincera e autentica. Se lo faranno, saremo i primi ad applaudirli. Con Rush! (2023) abbandonano ormai quasi del tutto la lingua italiana (utilizzata solo in tre brani su diciassette) facendo chiaramente capire che il loro vero obiettivo è il mercato internazionale e - per continuare a dominarlo - si affidano alla produzione di Max Martin (già alla console per Lady Gaga, Katy Perry, Britney Spears, Ariana Grande, ecc). Se il dilettantismo degli esordi è ormai un ricordo, quello che c'è da dire su Rush! non è molto diverso da quanto già detto sul precedente Teatro d’ira, di cui il nuovo lavoro rappresenta per certi versi un’evoluzione e per altri una conferma. Nonostante i diciassette brani (è il loro Lp più lungo) in realtà tutto potrebbe essere sintetizzato in due capitoli: da una parte troviamo i cloni di “Zitti e buoni” con la ricerca del riff giusto a metà strada tra rock e funk (la maggior parte delle canzoni) e dall’altra parte il tentativo di trovare una nuova ballata rock in stile “Coraline”, stavolta prova tendenzialmente fallita con momenti scontatissimi come “If Not For You” o “Il dono della vita”. L'impressione è che i Maneskin siano in parte schiacciati da queste due hit e che continuino a scrivere le stesse due canzoni con piccole variazioni. L'ascolto scorre faticosamente tra brani troppo simili, mai veramente interessanti, fondamentalmente destinati all'insignificanza all’interno della scena rock odierna. Colpisce come la tanto strombazzata collaborazione con Tom Morello nel singolo “Gossip” si riduca a un assolo di pochi secondi, mentre “Feel” o “Bla Bla Bla” sembrano pensati solo per far cantare il pubblico dei palazzetti. Il brano migliore, tra quelli tradizionalmente rock, è certamente “La fine”, a metà strada tra “Zitti e buoni” e “In nome del padre”. In tutto questo rock prevedibile ci sono però da segnalare due novità. “Kool Kids” è qualcosa di completamente anomalo nella discografia dei Måneskin, praticamente puro post-punk con un canto quasi irriconoscibile e soprattutto un’intro di basso convincente. Nonostante sia ispirato in modo spudorato agli Idles e in generale a tutta la scena post punk odierna, credo che si possa dire che sia il miglior brano mai scritto dalla band romana, almeno tralasciando il testo forzatamente volgare: un inno all’edonismo più sfrenato, dove la rozzezza non nasce dalla rabbia, ma dal conformismo e dal desiderio di creare un nuovo tipo di pubblico. Infine “Gasoline”, con testi antimilitaristi, è il secondo brano non prevedibile, sia nell'intro di basso che nella melodia e nell'irruento finale. Un po’ poco per un disco di cinquantadue minuti, ma forse potrebbero essere questi due brani un punto di partenza per un futuro meno scontato.



 
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(fonte ondarock.it)

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