La musicoterapia Umanistica è un approccio multidisciplinare nato sul “campo”.
La teoria, o meglio le teorie sono state elaborate nel tempo da un gruppo di professionisti che insieme a Giulia Cremaschi ne hanno accolto il messaggio ed hanno deciso di studiare e verificare gli effetti del suono e della risonanza sul corpo umano, non tanto come sollecitazione di stimolo-risposta, ma come qualità della vita di relazione che il suono e la musica favoriscono. I benefici effetti della musicoterapia riguardano la sfera dell’ autonomia, della relazione e della vita emotiva, dello sviluppo sensoriale e motorio prassico, dello sviluppo cognitivo, della comunicazione e del linguaggio, degli apprendimenti.
La musica fa bene
La musicoterapia umanistica non è una teoria. Essa è nata dall’esperienza della professoressa Giulia Cremaschi con i bambini audiolesi dell’Istituto Sordomuti a Torre Boldone (BG) e dalla sua professionalità spesa in più di 40 anni di lavoro nelle classi delle scuole primarie, nelle scuole dell’infanzia e asili nido, nell’ex Istituto magistrale, nell’attività di terapia sorta per rispondere alle sempre maggiori richieste del territorio bergamasco e non solo.
Quando l’ho conosciuta, nel lontano 1988 abbiamo istituito gruppi di formazione permanente (che durano tuttora). E’ nata un’associazione l’APMM (Associazione Pedagogia Musicale e Musicoterapia) e la F.I.M., Federazione Italiana Musicoterapeuti, di cui sono socio fondatore.
Nel 2016 ha preso avvio il primo corso di Musicoterapia Umanistica “Giulia Cremaschi Trovesi”, corso con qualificazione di primo livello.
Dallo studio e dalla condivisione delle nostre esperienze di professionisti e docenti, sono sorte le riflessioni che seguono. Solo per motivi espositivi separo i vari aspetti. La pratica ci ha insegnato che il progresso dei bambini è sempre su più fronti, contemporaneamente.
Autonomia
“Da solo” è un’espressione che sento molto di frequente: sono le mamme e o le insegnanti che ritmano con questa parola quasi ogni attività e ogni sequenza di attività del bambino.
Da tempo sto meditando sul valore di questo fare da solo che molto spesso non è preceduto dalla scoperta del bisogno dell’altro e dal piacere di condividere l’esperienza.
Ecco allora che ho incominciato a dire: “Insieme!”, “Facciamo insieme, giochiamo insieme, suoniamo insieme”.
E’ un capovolgimento di vedute.
E paradossalmente i risultati arrivano. Far da soli significa spesso lasciare solo proprio chi ha più bisogno della presenza e del calore dell’altro.
Nell’agire insieme si scopre la gioia delle proprie capacità, si condivide un’esperienza e le belle emozioni ad essa legati, ci si diverte perché si gioca in modo autentico e si esce dalla logica dell’esercizio e della ripetizione (sebbene anch’essi siano necessari per apprendere).
Il bambino si scopre capace, diventa capace e ben presto sarà lui a dire o far capire che vuole fare da solo…… dal tenere il segno al testo o allo spartito di una canzone, al batterne il ritmo, al mettere le mani al pianoforte per leggere e suonare le prime melodie.
L’autonomia nasce così dalla condivisione, dal vedere l’esempio che l’altro mi offre, dall’aspettare il proprio turno perché quando si gioca insieme, le regole non possono mancare, anzi sono proprie quelle che insegnano lo stare insieme e il trovare il proprio ruolo fino ad assumersi piccole responsabilità.
“Da solo” è allora una conquista, frutto di un cammino, vertice di un’esperienza condivisa.
Relazione ed aspetti affettivo/emotivi
Fare musica è il luogo e il tempo dell’ascolto, del dialogo, dell’accoglienza.
La creatività comunicativa generata dall’improvvisazione musicale provoca nel bambino curiosità, rompe gli schemi di chiusura o adattamento, smuove emozioni.
Il sentirsi ascoltato fa sorgere nel bambino il desiderio di coinvolgersi e partecipare. Possiamo sottrarci alle parole, al dialogo, al contatto fisico, ma non al suono che ci raggiunge, avvolge e penetra in ogni istante. La comunicazione coi suoni è affettiva. Il gioco suono – musica –silenzio –attesa crea attimi di ascolto: un battito di mano sul coperchio del pianoforte sopra il quale è seduto il bambino, un sorriso, uno sguardo fugace, la ripresa di un ritmo sono segnali di presenza su cui costruire insieme un percorso di fiducia e di apertura, perché il bambino, ogni bambino, è sensibile al “bello”.
Il genitore presente condivide le esperienze, ed entra nel gioco musicale (se lo desidera). L’ora di musica diventa il luogo per sfogarsi e rigenerarsi. La musica fa bene al corpo e allo spirito. E recentemente si è scoperto che fa bene anche alla famiglia.Uno studio dell’Università dell’Arizona, pubblicato sulla rivista Journal of Family Communication ha dimostrato che condividere esperienze musicali con i genitori fa bene perché migliora il rapporto con loro.
Sviluppo sensoriale e motorio prassico
La percezione delle onde sonore investe il corpo attraverso la Risonanza Corporea. Tutta la sensorialità si risveglia: vista, udito, tatto (ma anche olfatto e gusto in alcune situazioni) sono investite singolarmente e nelle sinestesie che si generano. Il bambino comincia ad ascoltare, a riconoscere, ricordare e poi discriminare i timbri sonori ascoltati; i colori e le forme in movimento lo attirano, le sonorità create per la situazione lo spingono e sostengono nello sforzo di rotolare, strisciare, gattonare, fino ad alzarsi in piedi, sorreggersi e fare i primi passi.
Gli strumenti idiofoni e a percussione stimolano la motricità fine, la coordinazione occhio –orecchio-
mano. Nel fare giocando tutto la persona è attratta a partecipare. La musica non è sottofondo, ma, grazie all’improvvisazione comunicativa, è dialogo che sostiene, sottolinea, rinforza, riempie, spinge, sostiene nello sforzo, aumenta la motivazione. E lentamente il bambino rinforza o riequilibra il tono corporeo, orienta lo sguardo, affina l’udito, migliora l’equilibrio, aumenta i tempi di attenzione che gli permettono esperienze via via più complesse.
Comunicazione e linguaggio
Il canto favorisce e sollecita il bambino all’uso della voce. Se poi il canto è inventato, cioè, in senso etimologico, trovato dentro la situazione comunicativa che si crea, stimola ancora di più il bambino a rispondere e vocalizzare a sua volta. La bocca che canta affascina il bambino che comincia a guardarla e a rispecchiarne i movimenti.Si mettono in atto processi di imitazione creativa consentita dall’attenzione, dall’intenzione comunicativa, dalla memoria, dal Corpo Vibrante che sa dosare la pressione del fiato nel farsi delle consonanti e vocali, dall’ascolto del dialogo.
Il bambino impara le filastrocche infantili e spesse le canta ancor prima di parlare. Molti bambini migliorano rapidamente nell’intenzionalità comunicativa e sviluppano con naturalezza il linguaggio. Altri, non potendo accedere alla parola, imparano ad esprimersi mediante l’intonazione della voce e il gesto. Anche i genitori, soprattutto le mamme, riscoprono la gioia del canto come veicolo di emozioni, comunicazione e dialogo con il figlio.
Sviluppo cognitivo
Capita frequentemente che dopo le prime sedute di musicoterapia le mamme riferiscano le prime impressioni delle insegnanti sul bambino: “sta più attento”, “è più coinvolto”, “è più aperto, meno irascibile”, “si impegna nelle consegne e nei compiti”.
Le indagini che hanno affrontato l’effetto della musica sul cervello dei bambini, hanno convenuto che provoca una attivazione della corteccia cerebrale, in particolare le aree frontali e occipitali, che operano nella trasformazione spaziale. Ma non solo. La musica stimola le connessioni neuronali e il percorso di apprendimento musicale mette in atto i processi di astrazione anche nei casi in cui sembrerebbero preclusi dalla patologia.
Il gioco musicale favorisce i processi di memoria, attenzione e concentrazione. Stimola la creatività e la fantasia, migliora l’espressione di sé, arricchisce la comprensione verbale, rinforza le abilità intellettive e l’autostima.
Attraverso i giochi musicali spesso il bambino si approccia in modo nuovo alla lettura e scopre che ciò che sembrava incodificabile (vocali e consonanti) non è così impossibile da decifrare. L’autostima riaffiora e con essa la il desiderio di apprendere. Anche il numero (parte integrante della musica perché senza numero non c’è ritmo) comincia ad essere conosciuto ed esperito nella concretezza: uno e uno ancora accompagnato dalla successione di accordi che cadenza il gesto della mano che conta o del piede che salta. Spazio e tempo si incontrano nella musica e l’ordine che ne deriva fa riorientare il bambino e fa sviluppare in lui l’ordine perso a causa della patologia o di un percorso educativo a volte molto in salita. Ecco allora che l’apprendimento delle tabelline passa attraverso il suonare due, tre, quattro battiti alla volta. Non sono solo successione mnemoniche di numeri e parole. Il clima di gioia e il buon umore caratterizzano le sedute. Solo ciò che si impara mediante emozioni positive rimane come bagaglio della persona. Anche per questo la musica è di grande aiuto allo sviluppo cognitivo dei bambini.
Apprendimenti
Conoscere la notazione è conoscere sé stessi attraverso la corporeità. L’apprendimento della notazione rappresenta la sintesi delle esperienze vissute.
In questi anni sono molti i bambini che hanno intrapreso l’educazione musicale come naturale proseguimento del percorso di terapia. È un grande piacere osservare con quale passione e determinazione affrontano lo sforzo di imparare a leggere le note sul pentagramma, a riconoscere i suoni ascoltati, a riprodurli sullo strumento sia esso un flauto, un metallofono, il pianoforte.
Sono bambini audiolesi, ipovedenti, portatori di sindromi genetiche, autismo, o che hanno esiti di paralisi cerebrali. Nulla per loro è scontato. E se il percorso non è rigorosamente coerente e ricco di emozioni positive e gratificanti, lo sforzo rischia di essere nullo.
La difficoltà maggiore è comunicare all’esterno quanto accade in terapia. L’adulto che non conosce la musica o che ha avuto con essa un passato burrascoso, spesso sottovaluta i risultati e il percorso che si è fatto per arrivare a quei risultati.
Conclusioni
“Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo e di unico. Ogni singolo uomo è una cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo” (M. Buber). A volte però, le cose non vanno come si vorrebbe. Quando sopraggiunge un incidente di percorso prima, durante o dopo la nascita, diventa arduo dare ascolto e credere al valore irripetibile di ogni persona. La diagnosi prende il sopravvento e la persona diventa la somma dei suoi sintomi, e viene relegata, letta e vissuta solo all’interno della cornice diagnostica.
I genitori si affidano ai rigidi protocolli della riabilitazione (diversi per ogni patologia) con la speranza di vedere un miglioramento.
La visione umanistica ribalta questa concezione, mettendo in gioco il musicoterapeuta e la persona, ciascuno fonte di risorse per l’altro. E’ «l’esserci» fenomenologico.
Musicoterapeuta e bambino (o ragazzo, o persona adulta) condividono un percorso dove la musica è il mezzo per entrare in relazione e lasciarsi trasformare.
Attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, (ma anche all’arpa, chitarra, percussioni…) torna o affiora il desiderio di ascoltare e il piacere di sentirsi ascoltati.
La pratica musicale creativa diventa dialogo che accoglie, sorregge, sollecita, consola, coccola, provoca: non c’è protocollo da seguire, ma buon senso, profonda empatia e buon umore.
Così l’ascolto diventa arte di ascoltare, e la musica gioia di vivere.
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(fonte musicoterapia.it)
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