La genesi tormentata, le conseguenze di una società al collasso, la cancel culture. In “Outsider”, il nuovo album del rapper vicentino di casa Machete uscito oggi, c’è tutta la sua rabbia per un futuro che si prospetta apocalittico. Quella di cui avevamo bisogno
Nitro è tornato, e anche stavolta l’ha fatto a modo suo. L’ha fatto con Outsider, il suo nuovo album uscito oggi dopo tre anni di silenzio. Outsider, però, non è solo il titolo del suo ultimo e tormentatissimo lavoro, come mi racconta quando lo incontro, ma anche un modo di essere. Quello che l’ha sempre contraddistinto. In un periodo storico in cui il rap è (quasi) tutto bling bling ed esercizio di stile, Nitro percorre una strada in salita, quella più impervia e che ti fa davvero sputare il sangue sul microfono.
Testi traboccanti di concetti, idee, parole e paure. Quella di un futuro distopico, di una società che è sull’orlo di un collasso (o forse ci siamo già dentro fino al collo?), dell’indifferenza che è il primo passo verso l’infelicità collettiva, della cultura che cancella e non costruisce e degli artisti che non prendono posizione.
Se GarbAge era il momento funesto che precedeva la tempesta, Outsider è l’apocalisse definitiva. La penna di Nitro è già chiarissima e affilatissima di per sé, ma se la realtà 4.0 di cui parla in Control volete vederla faccia a faccia, non potete assolutamente perdervi “Outsider Visual Gallery”, una temporanea di quattordici crypto-artisti curata da Mendacia e Holy Club Digital art gallery, che sarà aperta al pubblico oggi e domani dalle 10 alle 2.
L’intervista a Nitro
GarbAge era l’età della spazzatura mediatica e sociale. Tre anni dopo, le cose sono cambiate o ci culliamo ancora su una montagna di rifiuti?
Dopo il 2020 un piccolo risveglio di coscienze c’è stato, le persone sono stanche di sentire canzoni che parlano del nulla. In tutto il negativo c’è stato un risvolto positivo, anche se non posso dire che sia successo lo stesso al mio umore. Quell’anno mi ha portato a soffrire di una grave depressione. Non volevo più uscire, non volevo più farmi vedere in giro, andare agli eventi dei miei amici (e infatti chiedo scusa anche a loro per non esserci stato). Mi sentivo irrisolto e impotente. Sono stato in studio e ho deciso di curarmi facendo questo disco.
E ci sei riuscito? Come stai ora?
Sì, mi ha aiutato molto e penso mi aiuterà ancora di più andare in tour.
Guardando la mostra ho avuto la percezione che questo disco sia il gradino successivo a GarbAge. In Outsider c’è la distopia, il collasso. È uno scenario super apocalittico.
È così. Questo disco è molto più brutale di GarbAge perché io stesso sono diventato più brutale.
L’arte è sempre stata molto presente nel tuo immaginario, anche la copertina di GarbAge sembrava quasi un’installazione.
L’idea di questa mostra infatti era riservata a GarbAge, poi per ovvi motivi non siamo riusciti a farla. Ho voluto comunque riproporla per questo progetto perché gli artisti sono spesso outsider, quindi si rifaceva ancora meglio al contesto del disco.
Oltre agli artisti, chi sono oggi gli outsider?
Le persone che hanno il coraggio di fare le proprie scelte senza pensare di appartenere a qualche categoria. Chi ha il coraggio di pensare con la propria testa e di fare anche qualcosa che non piace agli altri. Oggi viviamo in un mondo estremamente condizionato da quello che piace agli altri.
E in Italia ci sono più outsider o altro?
Direi che ci sono più bandierine!
Quando hai annunciato l’uscita di Outsider hai detto di aver ricominciato questo disco due volte e di aver scritto più di 50 brani. È stata una genesi piuttosto tormentata.
Assolutamente, è stato il disco a cui ho lavorato più intensamente di tutta la mia carriera. Di solito sforavamo di 4/5 tracce mentre qui siamo arrivati a un totale di 50 canzoni per selezionarne 14, quindi è stato un processo bello pesante. C’era una parte che non mi soddisfaceva quindi l’ho accantonata e ho ricominciato; è stato molto travagliato però sono molto contento del risultato.
E le canzoni che non sono rientrate nel disco vedranno la luce o rimarranno nel tuo hard disk?
No no, tutto in qualche modo uscirà. Se una canzone non la sento mia non la scrivo, quindi sicuramente riutilizzerò tutto il materiale messo da parte per altri contesti.
In Control dici “La rabbia che leggo in giro non fa parte di me, che con lei ci scrivo”: c’è troppa rabbia nella società per non esserne pervasi?
È facile cadere nella rabbia innescata dagli altri, assolutamente sì. Sicuramente poi in questi anni abbiamo dato il peggio di noi.
Ripeti anche una domanda che è “Tu da che parte stai?” Cos’è la realtà 4.0 di cui parli? E Nitro in questa realtà da che parte sta?
Io sto solo dalla parte mia, che non è né l’una né l’altra, ma è la parte in cui mi sento di stare in base alle mie decisioni etiche. Per quanto riguarda la realtà 4.0, se c’è l’età del ferro, dell’oro e del bronzo, noi siamo sicuramente in quella dei soldi. Secondo me nella società perfetta del futuro i soldi non esistono.
Però a quel punto torneremmo a uno stadio primitivo, no?
Certo. È la stessa cosa dell’architettura green, una cosa super moderna ma con la natura, che è la cosa più antica del mondo. Io ho due idee di futuro, totalmente opposte: quello idilliaco e quello distopico. In quello idilliaco non ci sono i soldi perché le risorse si prendono dallo spazio e la gente è pagata in crediti che non esistono per fare quello che gli piace.
Ma nel disco prevale il futuro distopico…
Perché purtroppo è quello più probabile!
E infatti hai fatto un disco incazzato.
Certo, perché è soprattutto l’indifferenza che mi fa arrabbiare. Tutti continuano a dire che il mondo sta finendo ma a nessuno frega e questa cosa mi irrita molto. Ognuno dovrebbe cercare di agire nel proprio piccolo, anche solo pulire un palco da tutta la plastica di merda, magari coinvolgendo anche i fan. Purtroppo però ci mancano guide. I cantanti non hanno più le palle di prendere posizioni e i ragazzini non sanno più dove guardare se non a quelli che dicono voglio i soldi voglio diventare famoso. Ma forse sono loro stessi a non volere qualcuno che li guidi.
E perché questo impegno mano a mano è venuto a mancare?
Perché gli artisti si sono rotti di vedere che ti impegni per fare una cosa e poi alla gente frega poco delle canzoni. Oppure gli dici le stesse cose con uno slang diverso e vedi che te le cantano felici davanti: e allora non stai capendo lo stesso! È come quando in radio non passavano Fibra ma passavano la versione non censurata di Candy Shop mentre in America in radio passava la versione clean. E allora si fa così anche nel rap, metto mille slang così tu non capisci, però ti sto facendo cantare quello che voglio io e che magari tu non vorresti nemmeno cantare perché non sei d’accordo.
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(fonte billboard.it)
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